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Da grande voglio fare il terrorista

Che tra l’altro può essere un mestiere nobile. Nobilissimo. Lo scopo è di quelli che ti fanno sentire qualcuno, gli ideali, gli obbiettivi… forse i modi possono ai più risultare bruschi, ma a volte possono essere efficaci in tempi brevissimi.
Da grande vorrei spaventare le persone, incutere timore, quello vero, quello che ti fa pensare bene a cosa stai facendo, quello che ti fa guardare le persone con fare circospetto, che ti fa evitare il losco figuro e abitudini di dubbio profitto; vorrei terrorizzare, agghiacciare, sgomentare chiunque ritengo ne abbia bisogno, in ogni modo, ad ogni costo. Lo scopo sarebbe nobile, nobilissimo, quasi eroico: salvare delle vite umane.
Vorrei guardare in faccia un fumatore e digli che sta morendo, lentamente ma inesorabilmente, e che deve pregare per finire schiacciato in un incidente d’auto, tra le macerie di un palazzo o ucciso con una pallottola tra gli occhi, per sperare di avere una fine di gran lunga migliore di quella che il suo tumore, a breve, gli regalerà. Vorrei parlargli delle sue chance di vincere la battaglia contro il cancro e spiegargli che gli resta la sola possibilità di morire prima che il tumore ci pensi da sé.
Vorrei guardare nelle palle degli occhi un ragazzino che muove i suoi primi passi nel mondo delle droghe leggere e portarlo con me tra le corsie del mio reparto: vorrei che facesse la conoscenza di qualche mio paziente che ad oggi parla con i mostri, con i morti, con Dio in persona, pazienti con la vita distrutta a 30 anni, 10 dei quali passati a rollare erba nel buio dei vicoli di città. E poiché nessun ragazzino, piccolo o grande che sia, potrebbe mai credere che le canne friggono il cervello, vorrei rincontrarlo anni dopo, quando da fanciullo diventa paziente e fargli leggere robe come questo; rinfacciargli il senso di pena sarebbe ormai inutile.
Vorrei incontrare un atleta che sul letto d’ospedale parla di come ha vinto grazie a tutta quella merda che s’è iniettato negli anni. Vorrei sentirlo mentre si pente di tutto quello che ha fatto, dei reati commessi, o peggio ancora degli inganni sportivi verso i suoi avversari e verso tutti coloro che lo hanno osannato, sostenuto e, spesso, imitato; e, spesso, imitato in tutto.
Vorrei far conoscere loro tutte quelle persone che stanno morendo senza mai aver fumato una sigaretta, una canna o senza mai aver assunto sostanze stupefacenti, dopanti, stimolanti, dimagrenti o in qualsivoglia maniera tossiche.
E vorrei cancellare la speranza, la speranza che le cose si sistemeranno, che ti porta a chiedere “che possibilità di guarigione ci sono?”, l’aspettativa che ti porta a viaggiare per l’Italia, per il mondo, in cerca di risposte: vorrei far capire per tempo alle persone che la speranza non esiste, che c’è una causa e un effetto e nell’effetto molto spesso c’è spazio solo per la morte.
Vorrei provare rabbia, ma so già che non sarà così; so già che proverò compassione per chi, sotto il peso del proprio egoismo, pensa di essere l’unico attore nel gioco delle proprie scelte, di poter scegliere di rischiare la vita sapendo che la decisione riguarda solo se stesso. Purtroppo, però, la morte non è mai una condanna, ma resta la migliore soluzione al male che s’è fatto, a sé stessi e agli altri, a coloro che invece resteranno qui su questa terra, a prendersela in pubblico con l’inettitudine dei medici e a piangere in privato le sciocchezze di una persona a cui, stupidamente, hanno voluto bene.

Nella foto: Adamo ed Eva, Tintoretto (1550-1553)

  1. Anonimo
    8 febbraio 2011 alle 20:43

    una tragedia………………………mi hai spaventato…….un pochino di ottimismo? …….purtroppo ho conosciuto molte persone a me care che sono morte e nessuna fumava, prendeva droghe, erano solamente brave, brave, figlie, figli, madre e padri, chi muore statisticamente sono quelli che non se la cercano……ma quelli che tu dici ci vanno incontro……..muoiono per altre cause…….

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